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Lugano si espande e, come ogni metropoli che si rispetti, si assicura di far ordine nel proprio profilo urbanistico.
Che lo faccia con qualche decennio di ritardo, dopo aver sistematicamente distrutto, dagli anni Sessanta in poi, la maggior parte degli edifici che ne facevano "la perla del Ceresio", non ha più molta importanza. Quel che è fatto è fatto (o, meglio, quel che è disfatto è disfatto), e la Grande Lugano guarda, a ragione, verso il futuro. Ma come dare un senso, oltre che commerciale e bancario, a quest'area urbana in espansione a cui ormai tutto il Ticino guarda come all'esempio da seguire?
Come far capire al turista (più che agli indigeni) che questa città ha pur sempre un cuore, un'anima, uno spirito? I soldi, si sa, un'anima fanno fatica a trovarla; al limite tentano di comprarla, ma l'anima non si lascia comprare tanto facilmente. E anche lo scintillio dei brillanti e degli orologi nelle vetrine del salotto di Via Nassa non basta a scaldare i cuori. Lo Spirito ha ben altre dimensioni, ben altri scopi da seguire: ci vuole ordine nella Cultura. Ed è per questo che la Grande Lugano si lancia in un Grande Progetto con un Grande Cantiere che è destinato ad entrare nella storia: il LAC.
LAC che, naturalmente, non ha nulla a che fare con quella "Ville d'eau" d'inizio secolo che aveva (quella sì) un'anima per davvero, ma con Arte e Cultura, entrambe coll'iniziale maiuscola, e che, nonostante la facciata rimasta in piedi per accontentare i nostalgici, sarà tutto nuovo, efficiente, razionale, ordinato, degno di stare alla pari, appunto, con le vetrine di Via Nassa.
Arte e Cultura coordinate e ramificate in tutta la città (e la sigla ACL sarebbe stata forse più appropriata, se solo non avesse quel vago odore di benzina), i cui tesori nascosti devono esser messi in risalto. Ma come fare per trovare una via in tanta ricchezza di Spirito?
Semplice, basta seguire gli antichi: ci vuole il filo d'Arianna.
Non ditemi che non ci eravate arrivati anche voi! L'allusione era chiara; quel gomitolo che fa bella mostra di sé davanti al Grande Cantiere non è altro che il filo d'Arianna per potersi ritrovare nel labirinto della Cultura Luganese, irreperibile altrimenti. Idea geniale nella sua semplicità, che però, a un'analisi più approfondita, può dar adito a qualche perplessità.
Dice la leggenda, se ben ricordo, che Minosse, il re di Creta, fece costruire da Dedalo il labirinto per rinchiudervi un mostro dalla testa di toro, nato dall'orrendo accoppiamento di sua moglie Pasifae con il toro di Poseidone: il Minotauro, che si cibava di carne umana e a cui gli Ateniesi, per tenere a bada la potente isola, dovevano inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle. I poveretti vagavano per il labirinto senza più poterne uscire e venivano alla fine sbranati dal mostro.
Ma l'eroe degli eroi, l'ateniese Teseo, decise di por fine a quel massacro e di entrare lui stesso nel labirinto per uccidere il mostro. Ed è qui che entra in gioco l'intuito femminile, perché fu Arianna, la figlia (legittima, quella) di Pasifae e di Minasse, a dargli, per amore, quel gomitolo di filo rosso di cui lei teneva un capo e che permise all'eroe non di entrare, ma di uscire dal labirinto, dopo aver sconfitto il Minotauro.
Non vorrei fare il gioco della Lega, dai cui ideali sono molto, molto lontano e che penso non avrà perso l'occasione per criticare, a modo suo, anche questa idea geniale dei Costruttori del LAC.
Ma la storia è storia, e va interpretata correttamente. Invertendo in questo modo il senso del filo non si può fare a meno di pensare che il centro del labirinto della cultura luganese sia proprio il LAC, dove risiede il Mostro. Dio scampi e liberi! Meglio uscirne il più presto possibile, e senza fermarsi troppo per strada!
Siano dunque felici tutte quelle iniziative o strutture culturali della nostra città che il filo rosso non tocca (e ve ne sono molte, di quelle che non hanno bisogno della C maiuscola per far cultura) perché saranno loro, lontane da quella pericolosissima via di fuga frettolosa, che avranno più possibilità di attirare i veri curiosi, senza bisogno di tanti strombazzamenti.
"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior", cantava Fabrizio De André negli anni Sessanta: una canzone che noi studenti cantavamo volentieri in sordina, nelle belle serate quando ancora si cantava insieme. Una canzone che diceva anche, fra l'altro. "… non credevi che il Paradiso fosse solo lì, al primo piano".
Non era né Grande Arte né Grande Cultura, ma aveva un senso. Un senso a cui tutti quanti credevamo, pur sapendo, già allora, che non sarebbe andato molto lontano.
Ma che questo sia un augurio di Natale a tutti i miei fedeli lettori.
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