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Ormai, per poter vedere il teatro dei nostri migliori produttori, è più semplice andarsene all'estero che restare in Ticino.
La nuova prima di una delle nostre glorie locali, Gardi Hutter, -ormai dappertutto nel mondo quasi altrettanto famosa quanto Dimitri - ha avuto luogo al Theaterhaus di Stoccarda, seguita da altre tre repliche, tutte a sala esaurita, e da una tournée nel Baden Württemberg. Questo, di nuovo, fa riflettere sulla situazione del teatro nel nostro Cantone. Del teatro in particolare, anche se il discorso potrebbe venir allargato a tutto il resto della cultura. È mai possibile che il Paese sia così cieco nei confronti delle forze creatrici che possiede? È mai possibile che una prima di questa portata debba aver luogo in Germania e non da noi? Già Dimitri (per restare nel campo del teatro) ha dovuto aspettare più di trent'anni per poter essere preso sul serio dal suo Paese. C'era da sperare che i tempi fossero cambiati, che qualcosa fosse stato capito, e invece no, la storia si ripete tale e quale.
Comunque, polemiche a parte (che tanto non servirebbero neppure a fare arrossire chi di dovere), la strada di Gardi Hutter si fa da sé, anche senza il concorso del Paese. La sua nuova produzione, "Die Schneiderin" (La sarta), nata in collaborazione e per la regia di Michael Vogel di "Famiglia Flöz, pur restando fedele alla linea tracciata fino ad ora e rinunciando ancora all'uso della parola (ma non certo della voce), segna una nuova tappa nella storia del personaggio che ben conosciamo.
Il mestiere del clown è al polo opposto di quello dell'attore. Se questi sviluppa la sua arte nell'incarnare nei modi più diversi i più diversi personaggi, il clown, invece, quando trova il proprio personaggio non lo abbandona più. Lo affina, certo, con l'andar degli anni; gli trova nuove sfaccettature e nuovi sviluppi, gli inventa nuove storie, ma, in sostanza, non lo cambia mai.
La Clownessa di Gardi Hutter, che da "Giovanna d'Arco" in poi, conoscevamo come quella pallottola di energia vitale in eterno conflitto con gli oggetti, non tradisce sé stessa, ma, in quest'ultima produzione, riesce a compiere un passo in più: un passo che apre strade insospettate al personaggio. Quell'aura di malinconia che già era percettibile ne "La suggeritrice" si fa più prepotente, fino, a volte, a prendere il sopravento, perché l'"oggetto" contro cui la Clownessa questa volta combatte è nientemeno che la morte.
Inizia, sì, questa sarta battagliera, a combattere contro aghi, rotoli di filo, pesanti balle di stoffa; istalla con un uccelletto in gabbia un rapporto cinguettante che non potrà che trasformarsi in alterco, ma riuscirà anche ad infilarsi un forbicione nel cranio, e questo cambierà in modo radicale il corso degli eventi. Perché da quel momento in poi la sua anima se ne va all'altro mondo e la vuole con sé, diventando così il nuovo oggetto contro cui combattere.
Il Clown non può morire! O, se lo fa, lo fa solo per burla, per finta, rialzandosi subito dopo e ridendoci sopra. Morirà davvero, invece, la Clownessa, abbandonando dopo un'aspra lotta con se stessa le armi per seguire nell'Aldilà quell'uccelletto, spirato dolcemente fra le mani di un inconsapevole spettatore. E morirà felice, convinta, invitando il pubblico intero a seguirla nella tomba, verso un infinito cielo stellato.
Pezzo maturo, intelligente, sagace. Il risultato della ricerca puntigliosa, caparbia e senza compromessi di un'artista solitaria che sa quello che vuole.
Speriamo di vederla risorgere, la Clownessa. E risorgere, la prossima volta, direttamente nel suo Paese, che è il nostro.
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